Il Lato Oscuro del Successo: Quando i Sogni dei Genitori Diventano il Fardello dei Figli
La storia di Richard Williams e Andre Agassi tra sacrifici, ambizione e il pericolo della proiezione narcisistica
Pochi giorni fa ho finalmente visto un film che mi incuriosiva da tempo: King Richard. Questo biopic racconta la storia della famiglia Williams, da cui sono emerse due delle più grandi campionesse del tennis mondiale: Serena e Venus Williams.
Il film ha ottenuto grande successo, e l'interpretazione di Will Smith nei panni di Richard Williams è stata talmente intensa da meritarsi una nomination agli Oscar. È un film ipnotico, che tiene incollati allo schermo, mostrando come la disciplina ferrea imposta dal padre abbia portato le figlie al successo. Richard, con metodi di allenamento spesso estremi, ha trasformato ogni momento libero delle ragazze in un'opportunità per migliorarsi. Una severa disciplina familiare, unita a una realtà sociale complessa—vivere e allenarsi a Compton, un quartiere difficile dominato dalla violenza—ha reso il percorso di Serena e Venus un'autentica impresa contro ogni pronostico.
Ma mentre guardavo il film, non potevo fare a meno di pormi una domanda: Richard Williams era un genio o un folle? Credeva ciecamente nel talento delle figlie, e le ha spinte a credere in loro stesse con una sicurezza che rasenta il delirio. Ma a quale prezzo?
Il Successo ha Sempre un Costo?
La storia di King Richard mi ha lasciato un retrogusto amaro, simile a quello che ho provato leggendo Open, l'autobiografia di Andre Agassi. Qui, il leggendario tennista svela il lato oscuro dello sport agonistico: sacrifici estremi, pressioni insostenibili e il peso schiacciante delle aspettative paterne.
Andre, fin da bambino, era stato etichettato dal padre come un predestinato. Quando quest’ultimo si accorse del talento del figlio, lo sottopose a un regime di allenamento brutale. Nel cortile di casa, Agassi trascorreva ore a colpire palle senza sosta, affrontando il “drago”: la macchina lancia-palle che sputava incessantemente palline da colpire. Dritto e rovescio, dritto e rovescio, all'infinito.
"Se colpisci 2500 palle al giorno, cioè 17.500 alla settimana, cioè un milione di palle all'anno, non potrai che diventare il numero uno al mondo!" Questo diceva il padre al piccolo Andre. Il campo si riempiva di palline, rendendo persino difficile muoversi. Dribblarle diventava un esercizio tanto utile quanto estenuante per migliorare il gioco di gambe.
Il risultato? Agassi è diventato uno dei più grandi tennisti della storia. Ma a quale prezzo? Il tennis, per lui, non è mai stato una passione, bensì una prigione. Non poteva essere un bambino come gli altri, giocare, esplorare, divertirsi. La sua vita era un’ossessione imposta dal padre. Nonostante il successo, ha combattuto per anni contro i suoi demoni interiori.
Il Mito Tossico del "Se Vuoi, Puoi"
Si potrebbe pensare: “Poco male, sia Agassi che le Williams hanno raggiunto la vetta, ne è valsa la pena!”. Ma questa visione è tanto miope quanto pericolosa.
Per ogni Williams o Agassi che ce l’ha fatta, quanti ragazzi sono stati schiacciati dalle aspettative dei genitori senza mai raggiungere il successo? Hollywood ama raccontarci storie di chi ha trionfato, ma non vediamo i volti di chi ha fallito. È molto più probabile che un bambino cresciuto con genitori ossessionati dal successo finisca per vivere un’esistenza frustrante, piuttosto che diventare un campione.
Eppure, film come King Richard rischiano di rafforzare l’idea che la pressione estrema sui figli sia giustificabile se porta al successo. Quante madri e padri riversano le proprie ambizioni irrisolte nei figli, trasformandoli in strumenti di riscatto personale? Quanti bambini diventano il progetto di vita dei genitori, privati della libertà di scegliere il proprio cammino?
Il Fardello Psicologico dell’Ambizione Genitoriale
Dal punto di vista psicologico, la questione è molto più profonda e stratificata di quanto si possa immaginare. Il fenomeno della proiezione narcisistica è ben noto in ambito psicoanalitico e si verifica quando un genitore trasferisce inconsciamente sui figli i propri sogni irrealizzati, le proprie frustrazioni e il bisogno di riscatto sociale o personale. Questo processo prende il nome di identificazione proiettiva, un meccanismo attraverso il quale il genitore vede nel figlio un’estensione di sé e tenta di realizzare, attraverso di lui, ciò che non ha potuto ottenere nella propria vita.
Il celebre psicoanalista Donald Winnicott, tra i maggiori studiosi delle dinamiche narcisistiche, ha approfondito il concetto di falso Sé. Secondo Winnicott, un bambino che cresce in un ambiente dove l’amore è condizionato dalle performance e dal raggiungimento di obiettivi imposti dall’esterno rischia di sviluppare una personalità costruita per compiacere gli altri (il faso Sé), perdendo progressivamente il contatto con la propria autenticità e i propri desideri più profondi.
Le conseguenze di questa dinamica possono essere devastanti:
Difficoltà nella costruzione dell’identità: il bambino non sviluppa un senso autentico di sé, ma costruisce un’immagine conforme alle aspettative altrui.
Senso di inadeguatezza e vergogna: se non riesce a raggiungere gli standard imposti, può vivere un profondo senso di fallimento.
Disturbi d’ansia e psicosomatici: la costante pressione e la paura di deludere possono portare a stress cronico, ansia, depressione e persino manifestazioni fisiche come gastriti o insonnia.
Ribellione autodistruttiva: in alcuni casi, il figlio può sviluppare comportamenti di sabotaggio inconscio, rifiutando il successo imposto e cercando vie di fuga dannose pur di sfuggire al controllo genitoriale.
Un’Eredità di Dolore o di Libertà?
Le storie di Agassi e delle sorelle Williams ci offrono una riflessione profonda su cosa significhi davvero avere successo. Il vero compito di un genitore non dovrebbe essere quello di creare campioni, ma di guidare i figli verso una realizzazione autentica e libera, in linea con la loro vera natura e i loro desideri personali.
Cosa sarebbe accaduto se Agassi avesse avuto la possibilità di scegliere il proprio percorso? E se Serena e Venus non avessero avuto la forza di reggere la pressione? Il talento non è l’unico fattore determinante per il successo: la serenità emotiva, la motivazione genuina e il benessere psicologico giocano un ruolo altrettanto fondamentale.
Quando il sogno dei genitori diventa il fardello dei figli, il successo può trasformarsi in una gabbia dorata. Un bambino non è un mezzo per colmare le frustrazioni degli adulti. Solo lasciando spazio alla libertà di scelta possiamo crescere individui felici, indipendenti e, forse, anche di successo. Ma un successo che abbia senso per loro, non per chi li ha messi al mondo.
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